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''Mmg, accordi locali soltanto in undici Regioni. In un documento inviato agli assessori la Sisac rileva l’applicazione “mozza” della convenzione nazionale sul territorio''- Il Sole 24 ore Sanità
Mercoledì, 21 Febbraio 2007


n. 7 del 20 Febbraio 2007 Speciale pg. 12


CURE PRIMARIE/ In un documento inviato agli assessori la Sisac rileva l’applicazione “mozza” della convenzione nazionale sul territorio
Mmg, accordi locali soltanto in undici Regioni
L’obiettivo dell’integrazione resta una scatola vuota - Intese disomogenee - Privilegiate équipe e medicina di gruppo

Sono passati 22 mesi da quel fatidico 23 marzo 2005, quando è entrata in vigore l’ultima convenzione nazionale dei medici di base. Eppure il bottino è magro, almeno rispetto alle aspettative: soltanto 11 Regioni - il 55% del totale, considerando che la Provincia di Bolzano ha dichiarato di non voler procedere all’applicazione dell’Acn (ed è stata per questo appena diffidata dalla Fimmg Alto Adige) - hanno firmato gli accordi integrativi locali per imedici di famiglia.
Senza per giunta dare realmente impulso all’integrazione dei camici bianchi generalisti nell’organizzazione dei servizi sanitari, se non in un numero ridotto di casi. E senza inaugurare il decollo delle forme organizzative strutturali - Utap, Nuclei o Unità di cure primarie - se non nelle poche Regioni che già da tempo lavoravano su questa strada.
Integrazione, dove sei?
La Sisac, la struttura interregionale che rappresenta la parte pubblica, coordinata da Franco Rossi, ha voluto vederci chiaro. E, nel rapporto riservato inviato agli assessori regionali alla Sanità, aggiornato al 31 gennaio scorso, ha analizzato le intese andate in porto attraverso la lente dell’integrazione (tra Mmg, e tra Mmg e Servizio sanitario), obiettivo dichiarato della convenzione. Che si proponeva di costruire «un’organizzazione sanitaria integrata nel territorio, capace di individuare e di intercettare, maggiormente e ancor più efficacemente, il bisogno di salute dei cittadini, di dare le risposte appropriate e di organizzare opportunità di accesso ai servizi attraverso la costruzione dei percorsi assistenziali secondo modalità che assicurino tempestivamente ai cittadini l’accesso informato e la fruizione appropriata e condivisa dei servizi territoriali e ospedalieri».
La Sisac ha dunque messo a punto una lista di “strumenti dell’integrazione”: sviluppo della medicina associata, costituzione di forme organizzative funzionali obbligatorie (come équipe e nuclei); sperimentazione di forme organizzative strutturali volontarie (come Utap e Unità di cure primarie); partecipazione dei Mmg ai processi di organizzazione, programmazione e controllo; informatizzazione del sistema sanitario territoriale; percorsi formativi comuni tra operatori territoriali e ospedalieri; altri strumenti di rilievo.
Per ogni strumento sono stati rilevati tre elementi: presenza dell’argomento nell’accordo; descrizione sintetica dell’obiettivo principale; assegnazione di incentivi specifici in termini di risorse finanziarie, spazi e attrezzature. I risultati sono deludenti, quando non fallimentari (si vedano anche i box). L’integrazione è assunta come obiettivo in tutti gli accordi, ma resta più un’enunciazione di principio che un target effettivo. L’acceleratore è premuto sulla medicina di gruppo o di rete e sui modelli funzionali, anziché strutturali; sull’integrazione tra medici di famiglia, invece che con gli altri servizi aziendali. La partecipazione dei medici di base nell’organizzazione aziendale si limita all’Ufficio coordinamento delle attività distrettuali. Informatizzazione e formazione sono al palo.
I limiti dell’analisi. La cautela è però d’obbligo. Perché - avverte la Sisac - i risultati dell’indagine «rappresentano il frutto di una lettura “guidata” del solo testo degli accordi integrativi regionali ». Tralasciano, dunque, i provvedimenti che una Regione potrebbe aver assunto in materia prima o nel frattempo. L’analisi si è inoltre soffermata soprattutto sull’assistenza primaria, che rappresenta la parte più corposa e impegnativa delle intese. Le sezioni relative alla continuità assistenziale, medicina dei servizi ed emergenza territoriale, infatti, «rappresentano in tutte le circostanze finora osservate dei semplici complementi al corpus di regole definite nella parte dell’assistenza primaria».
Ma c’è un altro dato oggettivo di cui bisogna tenere conto: l’estrema eterogeneità degli accordi. Differenti in tutto: nella lunghezza dei documenti, nel grado di dettaglio dedicato ad alcuni argomenti, nel rinvio o meno ad altri provvedimenti nazionali o regionali, nel ruolo stesso attribuito all’accordo (mera cornice delle intese aziendali o quasi, di contro, unica sede dirimente).
Elementi che - scrive la Sisac - «mettono in luce la diversità degli approcci e dei contesti in cui si sono sviluppati i processi di negoziazione e, allo stesso tempo, sottolineano la difficoltà che una lettura comparata degli accordi incontra».
pagine a cura di Manuela Perrone
Nell'inciso a metà pagina:
Un dossier di 13 pagine, 15 tavole e una tabella di sintesi interamente dedicato alle intese locali tra Regioni e medici di base, integrative della convenzione nazionale siglata il 23 marzo 2005. Il documento è partito giovedì 8 febbraio dagli uffici della Sisac, la Struttura interregionale sabitari convenzionati che rappresenta la parte pubblica ai tavoli di trattativa. Destinatari: tutti gli assessori regionali. Che ora dovranno meditare sui risultati, non proprio rosei, insieme con il ministro della Salute. Per capire - il dubbio è lecito, leggendo il rapporto - se la convenzione ha fatto flop.
Il titolo recita: «Il processo di integrazione dei medici di medicina generale nell’organizzazione dei servizi sanitari territoriali e aziendali, quale risulta dall’analisi degli Accordi integrativi regionali». Tradotto, significa una fotografia dettagliata e ragionata dell’assorbimento a livello locale dell’Accordo nazionale per la medicina generale.
Assorbimento lento e scarso, a giudicare dai risultati dell’indagine: gli accordi regionali per i medici di famiglia sono stati siglati soltanto in 11 Regioni (il 55% del totale, escludendo la Provincia di Bolzano che si è detta non interessata ad applicare l’Acn), quelli per la specialistica in sei, quelli per la pediatria in quattro. Come dire: non sono bastati quasi due anni per implementare le convenzioni nazionali sul territorio, sfruttandone le opportunità per potenziare le cure primarie.
La Sisac è andata oltre l’analisi pura e semplice, scavando nelle cause che hanno finora ostacolato la firma degli accordi in nove Regioni (si vedano le pagine 14-15).
Non stupisce che la prima ragione addotta da funzionari e sindacati per giustificare le mancate intese siano le difficoltà finanziarie: tre delle amministrazioni locali inadempienti - Campania, Molise e Sicilia - sono state impegnate a formulare i piani di rientro dai disavanzi sanitari. Ed è sempre il Sud che arranca. Scontando un ritardo - di sperimentazioni, di innovazione e di investimenti - faticoso da colmare.
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