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''Generalisti, ma specialisti. Società scientifiche e futuro del triennio. Tutti d’accordo per il post-laurea in università: le regioni hanno interessi in conflitto'' - Corriere medico
Lunedì, 26 Febbraio 2007
22 Febbraio 2007




Tutti d’accordo per il post-laurea in università: le regioni hanno interessi in conflitto
Generalisti, ma specialisti
Società scientifiche e futuro del triennio
A gennaio la Fimmg ha convocato un tavolo sindacati-società scientifiche per dare uno sbocco accademico alla medicina generale e al triennio post-laurea. E si discute. Perché la medicina generale ha fretta di mettere radici in ateneo? Valcanover: «Il sindacato ha avuto la buona idea di ricontrattare il nostro ruolo nel Ssn, il che ci qualifica meglio di fronte alla controparte. Ma l’istanza viene da lontano. Dopo la dichiarazione di Alma Ata del ’78 sono sorte le specializzazioni del territorio con propri contenuti specifici, facendo tesoro di 40-50 anni di esperienza delle specialità ospedaliere e dei sistemi sanitari nazionali. Oggi la medicina generale è specialità post-universitaria in tutto il mondo sviluppato, anche negli Usa, dove l’hanno riscoperta le assicurazioni perché insegna a relazionarsi con i pazienti, e nell’Europa ex comunista, dove specialisti di base sul territorio c’erano e si sono riposizionati». Stella: «In Italia è stato perso troppo tempo: già 10 anni fa la Snamid parlava di dipartimenti di medicina di famiglia. Da quando è partito il nuovo esame di stato, con il tirocinio di un mese in studio, a qualcuno (inclusi noi) è sembrato assurdo che i neolaureati fossero valutati su una materia mai studiata. C’è poi un riavvicinamento tra le numerose società scientifiche della categoria». Brignoli: «A 30 anni dalla legge 833 c’è la netta sensazione che la professione da noi esercitata vada insegnata. Se debba esserlo dentro o fuori università non saremo noi a dirlo ma l’ateneo. Peccato che il 15 dicembre, proprio per la medicina generale, i presidi italiani abbiano deciso di non fare il Med, il dispositivo burocratico che istituisce nuovi insegnamenti». C’è il timore che le regioni pesino sulla didattica delle scuole attuali? Carelli: «Talora le regioni premono economicamente, politicamente, nominando responsabili non per concorso, e nella didattica, proponendo i loro indirizzi. Né fanno un assessment di buona qualità e validato da terzi sui docenti e i tutor che dovrebbero sottostare ad esami “seri”. Peraltro, neppure la miglior scuola può ricevere da una regione la chance di conferire il titolo di specialista, che è di attribuzione accademica». Stella: «Credo che avvicinarsi all’ateneo sia un passo per affrancarsi da chi gestisce il Ssn secondo propri interessi contingenti». Valcanover: «Soprattutto le regioni più avanzate ci considerano da un punto di vista troppo economicista, ancorato al primo piano sanitario (1979) con cui si scoprì che da noi passavano un sacco di spese». Brignoli puntualizza: «Bisogna anche dire che le scuole regionali fin qui hanno elaborato strade proprie e non si sono mai parlate tra di loro né si sono mai date un coordinamento. Né il coordinamento di esponenti di società scientifiche che oggi avanza proposte sul tema, ha titolo per farlo». Il dibattito sulla specializzazione non pone in secondo piano l’esigenza di insegnare la materia ai laureandi per trovare vocazioni? Carelli: «E’ vero. Credo si debba partire da un tirocinio ben fatto che evidenzi la carenza di conoscenze nel corso di laurea, per cambiarlo. Da lì avremo poi dipartimenti e specialità. Il post laurea, dove insegnerebbero medici di famiglia inquadrati nei dipartimenti, è di competenza universitaria solo come specialità o per livelli superiori (i master)». Per Stella, «la priorità vera è introdurre la medicina di famiglia nel corso di laurea al 5°-6° anno, con nozioni teorico-pratiche e “puntate” nei nostri studi. Poi ci serve una legge che ci riconosca un ruolo docente parificato a quello dei docenti aggregati, previa presentazione di curriculum di formatore validato. La specialità è il passaggio successivo: la laurea in medicina deve prevedere questo sbocco e le scuole regionali, riconosciute dalle università, devono offrire insegnamenti omogenei ». Per Valcanover l’iter deve essere contestuale: «Il percorso professionale è un unicum che ingloba pre e postlaurea. In realtà però si definisce nel post-laurea. La facoltà dovrebbe dare un’idea generale del medico di famiglia, mentre i contenuti propri e quelli internistici, igienistici, di ricerca della disciplina sarebbero elaborati nella specializzazione. Temi chiave del post-laurea, come la relazione con il paziente, andrtebbero insegnati a tutti i futuri medici e anticipati al pre-laurea». Per Brignoli «pre-laurea e specialità sono due contesti diversi. Nel primo si dovrebbero insegnare le specificità della materia, inclusa la relazione con il paziente; nella specialità la gestone delle patologie in studio partendo dal fonendo». European Definition ed Educational Agenda bastano per impostare l’insegnamento della specialità? Valcanover: «Sento dire che sono definizioni “anglosassoni” e mi fa ridere. E’ stata trovata una quadratura tra medici di sistemi sanitari diversi, dalla pubblica Spagna alla mutualistica Germania. Tra gli autori manchiamo solo noi, che sull’aspetto relazionale potremmo dare un contributo notevole». Carelli: «I due mega-documenti, frutto ciascuno di tre anni di brainstorming fra 35 paesi europei, hanno evidenziato cosa ci mancava. E su questo ora dobbiamo discutere e costruire. Vi possono essere dubbi legati a esigenze nazionali, ma restano una grande offerta da usare con ragionevole flessibilità per far crescere la categoria». Stella non concorda: «Sono ottimi spunti di rifllessione ma noi vogliamo costruire un percorso italiano e siamo convinti della necessità di non continuare a copiare definizioni, come quella Wonca, mutuate da altri contesti, bensì maturare una traduzione italiana che ci affranchi da una medicina generale troppo “esterofila”». Brignoli: «Abbiamo 30 anni di professione organizzata alle spalle. Siamo aperti ai problemi dei colleghi europei, ma e rappresentiamo un contesto italiano. L’agenda ce la facciamo da soli». La scuola non rischia di nascere vecchia? Tra 6 anni arriveranno i giovani e le esigenze del Ssn potrebbero cambiare... Carelli: «L'insegnamento nasce dalla European Definition, dalle core competences e da come queste si riverberano nell’Educational Agenda che detta contenuti e metodi. Sono capisaldi internazionali: potranno essere rivisti, non stravolti. Il medico di famiglia rimane con sue caratteristiche specifiche e non asservito a un sistema: semmai è al sistema che chiede flessibilità». Brignoli: «E’ un po’ il contrario. Nessuna disciplina in questi anni si è dimostrata capace di adeguarsi ai tempi come la nostra. Simg parlava di didattica per gruppi nel 1982, di informatica nell’84, di doctor office nell’86, di aggregazioni per prima. Siamo l’unica professione in grado di insegnare all’università ad evolversi in sintonia con il mutare delle società». Pure per Stella, «la scuola si trasforma, il percorso è soggetto a riscritture continue nelle aree di formazione e nei contenuti ». Per Valcanover si deve partire ora «Il ricambio c’è già. Non solo: benché si parli di rischio-vocazioni inutili, come tendenza meno siamo più siamo preziosi per il Ssn. Quanto alla scuola, di qui al 2008 la mia a Trento avrà tre classi di triennio e 45 studenti in tutto, provenienti da tutta Italia, dati 15 posti l’anno. E’ possibile che i posti in convenzione si riducano, ma intanto mi occorrerebbero un centinaio di miei colleghi in attività per fare da tutor e docenti. E all’università mancano professori con nozioni di pedagogia, mentre noi spesso le abbiamo». Come disegnereste la specialità? Qualcuno (Aldo Pagni, fondatore della Simg) voleva la laurea in medicina generale… Valcanover: «In tempi più difficili per noi, direi a ragione, si equivocò sul concetto di specializzazione insistendo sulla riduzione delle competenze implicita, ma nell’evoluzionismo specializzazione è anche creazione di una nuova specie con sue peculiarità ». Carelli: «Non esistono sotto-lauree europee di medicina generale. La disciplina fa parte della laurea in medicina e chirurgia. E, come ci dice la Definition, non è la somma delle altre specialità, ma è essa stessa una specialità specifica». Quanto dovrebbe durare il corso universitario? Carelli: «Come da direttive Ue, Uemo, Wonca e Euract, almeno tre anni e con almeno metà del tempo nei nostri studi. Come in Finlandia, Regno Unito, Danimarca, si dovrebbe unifomare con altre specialità. Si può prevedere un tronco propedeutico e due variabili: un biennio indirizzato a compiti di management e uno indirizzato a vita di aggregato ad uno studio medico e nel contempo in attività Socrates, o con studi di ricerca per discutere al termine una tesi master. La direzione va affidata a medici di famiglia con il contributo di altre figure». Stella: «Non credo occorra ripetere il cliché delle altre specialità, istituendo tre anni propedeutici più due. L’iter per noi può durare in tutto quattro anni. Si pensi piuttosto a rivedere certe improprietà, come il tirocinio dal medico-tutor, che oggi copre solo un anno su tre (il resto delle nozioni si impara di fatto in ospedale) e, di conseguenza, ad aumentare i tutor: oggi in Italia sono sì e no 2 mila». Valcanover concorda: «La durata del corso in media viaggia sui quattro anni, anche se in Nordeuropa spesso sono cinque. Ma i finlandesi, ad esempio, spendono due anni di quei cinque lavorando inquadrati nel loro servizio pubblico. I nostri invece sarebbero quattro anni di scuola pura. Troppi». Brignoli: Credo la specialità debba partire da una valutazione analitica della job description, di ciò che deve fare il medico di famiglia, che è scritto nelle convenzioni. Poi l’Europa ci ha insegnato altri contenuti. E’ vero; dobbiamo rendere conto delle nostre azioni al Ssn, gestire uno staff e relazionarci con i sanitari del sistema, nonché monitorare i rischi del paziente. Questi contenuti vanno approfonditi. Solo dopo potremo dire quanto dura il corso e come si struttura. E’ un lavoro da fare senza appoggiarsi ad altri. In particolare, chi propone sinergie con il medico di distretto dimentica che un conto è avere un occhio epidemiologico per decidere se vaccinare o no una popolazione, un altro è valutare l’opportunità di quella vaccinazione sotto gli aspetti clinici, che è il vero compito nostro». Il riferimento è all’idea di Ernesto Mola (Assimefac) secondo cui medici di famiglia e di distretto potrebbero formarsi insieme... «Ho parlato con Mola – dice Valcanover – le due discipline sono diverse e credo che l’università abbia più bisogno dei contenuti della nostra di quanto noi non abbiamo bisogno della medicina di comunità. Peraltro l’insegnamento può prevedere moduli specifici che toccano altre specialità esistenti». Anche Carelli contesta Mola: «La Definizione europea Wonca-Euract dice che il generalista non necessariamente somministra vaccini né si occupa dell'emergenza caldo, ma gestisce lo studio, ha un approccio globale, si misura con il disease, non solo con la prevenzione. Il suo orientamento non è finalizzato alla comunità in senso lato, ma alla cura della persona nella comunità». Stella concede: «Non siamo sovrapponibili a figure dipendenti. Dobbiamo fare un percorso autonomo, che porti a far riconoscere la disciplina in ateneo e a trasformare le scuole regionali in scuole universitarie con provvedimento della conferenza stato-regioni». «O meglio – corregge e conclude Brignoli – del ministero dell’Università ».
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